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Neurodivergenza: prospettive teoriche e dati scientifici recenti

Aggiornamento: 13 ott

Introduzione: definizioni e storia del concetto


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Il termine neurodiversità (da neuro + diversity, “diversità neurologica”) è stato utilizzato per la prima volta come concetto dagli anni ’90 nel contesto delle community autistiche, come risposta critica al paradigma esclusivamente medicalizzato che considerava le differenze neurologiche come patologie da correggere.

La neurodiversità sostiene che varianti neurologiche (autismo, ADHD, dislessia, disprassia, ecc.) possano essere considerate forme naturali di variabilità cognitiva, non semplicemente disturbi da eliminare.

Da questo concetto derivano due termini spesso usati:

  • Neurotipico / neurotipici: designa l’insieme delle persone il cui funzionamento neurologico rientra nei parametri considerati più frequenti nella popolazione.

  • Neurodivergente / neurodivergenza: individui il cui stile cognitivo, comportamentale o sensoriale diverge da quelli neurotipici, non necessariamente in senso patologico, ma con caratteristiche peculiari.


Va notato che in ambito scientifico i termini “neurodivergenza” o “neurodiverso” non sono sempre usati in testi clinici tradizionali, ma emergono soprattutto in ambiti interdisciplinari, nei movimenti per i diritti delle persone con differenze neurologiche e nella letteratura che cerca di integrare prospettive sociali, culturali e neuroscientifiche.


I modelli interpretativi: medico, sociale e ibrido


Un aspetto cruciale della trattazione contemporanea delle neurodivergenze riguarda il rapporto tra modello medico e modello sociale della disabilità, applicato alle condizioni neurologiche.

  • Modello medico: tradizionalmente, le varianti neurologiche venivano viste come difetti da correggere mediante interventi clinici o terapeutici.

  • Modello sociale della disabilità: propone che la disabilità non derivi primariamente da un deficit individuale, quanto piuttosto da una discrepanza tra le caratteristiche di un individuo e un certo ambiente, progettato per una norma dominante. In questo modello, molto peso è dato alle barriere ambientali, sociali e culturali.

  • Modelli ibridi contemporanei: le più recenti riflessioni cercano di coniugare entrambi gli aspetti. Si ammette che vi siano fattori “interni” (genetici, neurologici) che influenzano il funzionamento, ma si considera anche che l’impatto disabilitante di tali varianti dipende fortemente da come la società risponde (adattamenti ambientali, inclusione, supporti).


Un rischio noto è che l’utilizzo troppo idealizzato della neurodiversità (a volte chiamato “neurodiversità lite”) tenda a minimizzare le esigenze di supporto o di trattamento in casi in cui sono presenti disabilità gravi.



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Evidenze neuroscientifiche e marker di divergenza


Un approccio per rendere il concetto di neurodivergenza misurabile si basa sull’analisi della connettività cerebrale e dei profili funzionali, integrando tecnologie come la risonanza magnetica (MRI) strutturale e funzionale, modelli normativi e metodi di apprendimento automatico. Ad esempio, il framework BRIDGE propone di tracciare traiettorie normative di sviluppo della connettività cerebrale e quantificare la deviazione individuale rispetto a queste come “punteggio di neurodivergenza”.


Altri studi integrano modelli di rete (graph‐based normative modeling) per identificare regioni con connettività differente in soggetti con disturbi del neurosviluppo (autismo, ADHD).

Tuttavia, la variabilità intraindividuale è enorme: lo stesso soggetto può mostrare divergenze in alcune regioni e convergenze in altre, e l’interpretazione statistica di tali differenze richiede attenzione metodologica (correzione per età, sviluppo, dimensioni cerebrali, variabilità intersoggetto).


Un approccio emergente è la normative modeling: si costruisce un modello del funzionamento cerebrale “tipico” (tenendo conto di età, sesso, variabili demografiche) e si misura la deviazione individuale rispetto a tale modello. Ciò consente di identificare regioni con divergenza significativa in un individuo rispetto alla distribuzione di riferimento.


Ambito psicologico, cognitivo e sociale


Tratti cognitivi e punti di forza

Gli studi recenti cercano di mappare non solo le condizioni di svantaggio, ma anche i punti di forza associati alla neurodivergenza. Nel contesto dell’autismo, ad esempio, è stato proposto un modello concettuale che raggruppa le competenze in queste quattro aree:

  1. Percezione (es. sensibilità sensoriale, discriminazione sensoriale)

  2. Ragionamento (es. attenzione al dettaglio, pattern recognition)

  3. Expertise (interessi speciali, conoscenze approfondite)

  4. Carattere / tratti personali (resilienza, perseveranza, curiosità)

Gli interventi psicologici basati su approcci “strength-based” cercano di attivare questi punti di forza per migliorare benessere e ridurre vulnerabilità (es. isolamento sociale, comparsa di comorbidità).


Resilienza e fattori protettivi

Una review recente, adottando una prospettiva “neurodiversità‐affirmative”, ha analizzato come viene concettualizzata la resilienza fra le popolazioni neurodivergenti. Sono stati identificati fattori protettivi di tipo biologico, psicologico e sociale che contribuiscono a mitigare gli impatti negativi delle condizioni divergenti.


Inoltre, la variabilità nella definizione e misurazione della resilienza in questi studi evidenzia la necessità di standardizzare strumenti che considerino non solo la “riduzione dei sintomi”, ma il funzionamento positivo (benessere, adattamento, realizzazione personale).


Questioni critiche e dibattiti teorici


  • Ambito applicativo / a chi si applica: non è sempre chiaro se e come applicare il paradigma della neurodivergenza a condizioni neurologiche gravi, a comorbidità importanti o a disabilità cognitive elevate.


  • Rischio di essenzialismo: assumere che ogni tratto neurologico debba essere celebrato può portare ad idealizzare situazioni di sofferenza o ignorare la necessità di interventi.


  • Mascheramento (masking) e costo psicologico: molte persone neurodivergenti “camuffano” parti del loro funzionamento per conformarsi socialmente. Il masking è associato a stress psicologico, ansia e rischio suicidario in alcuni studi.


  • Critiche sociologiche: alcuni autori sostengono che i termini “neurodiverso / neurotipico” reinseriscano una dicotomia che può essere problematica e che la neurodivergenza rischia di essere usata come discorso inclusivo depotenziato, in cui si riconoscono le differenze ma senza intervenire sulle condizioni sociali che generano esclusione.




Implicazioni pratiche e prospettive future


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  • Diagnosi e valutazione: la neurodivergenza non richiede per forza una “diagnosi patologica”. Tuttavia, per accedere a supporti clinici, educativi o sociali, spesso è necessaria una valutazione formale (criteri DSM-5, criteri ICD, strumenti psicometrici). In questo senso, il paradigma della neurodivergenza spinge verso valutazioni più sfumate e contestuali.


  • Interventi e supporti: l’orientamento contemporaneo punta su strategie di accomodamento ambientale (es. adattamenti sensoriali, supporti organizzativi, flessibilità lavorativa) piuttosto che solo su modifiche comportamentali. Ciò non esclude in casi specifici interventi clinici o terapeutici, ma enfatizza il ruolo dell’ambiente.


  • Politiche e inclusione: il riconoscimento della neurodiversità implica che le istituzioni (scuola, lavoro, sanità) si strutturino per essere inclusive e non solo tolleranti. Ciò richiede formazione, cambiamento culturale e cambi di paradigma.


  • Ricerca interdisciplinare: la comprensione della neurodivergenza richiede cooperazione tra genetica, neuroscienze, psicologia, sociologia, pedagogia e scienze sociali. Identificare biomarcatori utili, modelli predittivi individuali e strategie personalizzate è una sfida aperta.


  • Personalizzazione & etica: è importante evitare approcci “one size fits all” in cui per tutti si usa lo stesso tipo di intervento. Ogni persona neurodivergente è unica, con profili di punti di forza e vulnerabilità propri. Il paradigma della neurodivergenza

    richiama il valore dell’autodeterminazione e del rispetto della persona nel definire obiettivi e modalità di supporto.

 
 
 

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